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Capitolo 6 – Una scuola nuova, un potere nuovo


Nel 1962, con l’istituzione della scuola media unica, e poi nel 1970, con la riforma dell’università, l’Italia operò una trasformazione profonda della propria infrastruttura educativa. Furono riforme presentate come atti di modernizzazione, di democratizzazione, di adeguamento a un modello europeo ritenuto più avanzato. In parte lo furono. Ma la loro portata reale non fu solo tecnica o sociale: fu simbolica, culturale e politica.

L’impianto educativo precedente – centrato sulla selezione, sulla formazione disciplinare, su una visione gerarchica ma coerente del sapere – veniva da un’idea di scuola nata prima del fascismo, ma riformulata da Giovanni Gentile nel 1923. Quella scuola era esigente, elitaria, basata su un’idea di cittadinanza fondata sulla conoscenza. Il suo legame con il passato regime rese difficile ogni tentativo di recupero anche parziale, nonostante il suo valore formativo fosse riconosciuto anche da chi ne prendeva le distanze.

La riforma del 1962 si presentò come una svolta democratica e modernizzatrice. Ma nel tempo si rivelò una scelta ideologica: una rottura con il passato motivata più dal desiderio di segnare una discontinuità simbolica che da una nuova idea organica di scuola. Si volle guardare avanti, ma senza definire con chiarezza cosa significasse “avanti”. Il modello di riferimento era un futuro astratto, spesso idealizzato con i paesi più industrializzati, ma senza una riflessione profonda sulle finalità formative.

In questo processo si indebolì la selezione, si abbassò l’asticella, si introdusse l’idea che la scuola dovesse “motivare” più che formare, accompagnare più che sfidare. L’università di massa, pochi anni dopo, completò il quadro: l’accesso si ampliò, ma a scapito della verticalità del sapere. Il prestigio dell’approfondimento lasciò spazio alla velocità del percorso. L’idea stessa di autorevolezza venne lentamente erosa.

Gli effetti non furono immediati. Ma dopo vent’anni, cominciarono a emergere. Negli anni ’90, la generazione formata in quella scuola entrò nei ruoli decisionali. Ed è difficile pensare che sia un caso se, proprio allora, il sistema politico della Prima Repubblica crollò. Quel crollo non fu solo giudiziario o partitico: fu anche antropologico. La generazione che ne prese il posto aveva assorbito una visione diversa della cultura, della responsabilità, dell’autorità. E aveva, al fondo, un altro rapporto con la tradizione.

Ancora oggi, nel 2025, permangono nel mondo scolastico orientamenti culturali che faticano ad accettare ciò che resta della vecchia struttura liceale. Ma proprio quegli elementi – il liceo classico, le lingue antiche, i compiti a casa – continuano a garantire un’idea di scuola come luogo di formazione e non solo di socializzazione.
La scuola italiana non è mai stata veramente rifondata. È stata smontata, ristrutturata a pezzi, ma non ricostruita su basi nuove. Ha perso coerenza senza acquisire forza. Ha sostituito l’autorità con la facilitazione, la conoscenza con la competenza, la profondità con la trasversalità. E oggi, i suoi frutti si vedono ovunque: in una classe dirigente incerta, in un pensiero pubblico frammentato, in un cittadino che fatica a orientarsi.

Non è colpa della scuola in sé, ma di chi, per decenni, ha smontato il suo impianto senza mai osare davvero rifondarlo.
E non è un caso che, ancora oggi, quando si parla di modello italiano di scuola, lo si faccia quasi sempre per criticarlo, per indicarne i limiti, per demolire ciò che ancora ricorda una struttura esigente e coerente. È un uso linguistico rivelatore: non c’è orgoglio, non c’è appartenenza, solo distanza e fastidio. Gli ultimi elementi rimasti non vengono riconosciuti come risorse da custodire, ma come superstiti ingombranti di un passato da rimuovere.
Eppure, se a un secolo dalla riforma Gentile, e dopo sessant’anni di riforme, ancora quella stagione è l’unica a evocare l’idea di un modello italiano, il problema non è nel passato, ma in decenni di interventi che hanno operato contro qualcosa o guardando altrove.


Ma un modello, per essere tale, deve nascere da un’identità. Non contro qualcosa, né rivolto altrove.