I dati sulla natalità relativi all’Italia dei primi decenni del XXI secolo confermano una tendenza profonda e persistente.
La popolazione invecchia rapidamente, l’età media è tra le più alte al mondo, le nascite sono in costante calo, e l’emigrazione giovanile è tornata a crescere.
Tutti gli indicatori demografici descrivono un quadro che, al momento, non mostra segni di inversione.
Questa crisi non è solo il riflesso del fallimento di singole politiche o classi dirigenti.
È l’esito di una visione culturale e istituzionale che ha preso forma nel secondo dopoguerra: un impianto pensato per superare un trauma storico,
non per fondare un’identità viva e duratura.
Per decenni si è sostenuto che si potesse vivere bene anche senza figli, senza famiglia, senza eredità.
Che bastassero una maggiore inclusività scolastica, più diritti individuali, l’apertura a nuove presenze sociali per colmare i vuoti lasciati dalla denatalità.
In questa visione, l’identità collettiva poteva cedere il passo alla mobilità, all’eguaglianza normativa, alla fiducia nel progresso.
Eppure, mentre molti confidavano nelle riforme e nei meccanismi economici, alcuni osservatori – da posizioni anche molto diverse –
avevano già colto la natura più profonda della crisi.
Pensatori come Todd, Preve, De Benoist, Ricolfi hanno indicato con linguaggi differenti una verità oggi sempre più evidente:
la crisi delle nascite è prima di tutto culturale, e in definitiva antropologica.
Una società che non si riconosce, non si lega e non trasmette nulla, semplicemente si spegne.
È il frutto di un’idea che ha separato l’individuo da ogni legame duraturo. Che ha sostituito la responsabilità con una retorica dei diritti, la storia con la memoria selettiva, la continuità con l’esperimento.
Un’idea che ha trasformato la famiglia in un’opzione, la natalità in una variabile statistica, l’educazione in un laboratorio sociale.
Ma la realtà biologica e culturale non si lascia cancellare dalle ideologie.
Con buona pace di chi la contesta, la famiglia resta il solo nucleo generativo, reale, vivo.
L’unico luogo dove si trasmette qualcosa, dove si cresce, si fatica, si eredita e si dà.
Non c’è futuro senza legami. E non ci sono legami senza famiglie forti, libere, riconosciute come cellule fondamentali della civiltà.
Tutto il resto — istituzioni, politiche, norme — viene dopo.